Le principali Emozioni nei pazienti Oncologici sono rappresentate da:
- Il Dolore
- La Rabbia
- La Paura
Tali emozioni possono esprimersi sotto forma di pensieri intrusivi ma anche a livello di malessere psicosomatico.Le principali Tentate Soluzioni (ciò che tentano di fare in relazione al problema) dei pazienti Oncologici sono volte a:
- Evitare la situazione problematica o ciò che la ricorda (es: tentare di non pensarci)
- Parlarne (e lamentarsi) oppure chiudersi
- Richiedere eccessivo aiuto sopratutto ai familiari ovvero delegare e assumere una posizione passiva di vittima (rinuncia).
Scrivendo o raccontando la propria storia:
- Le emozioni provate (dolore, rabbia, paura) vengono elaborate, finché la persona si distacca gradualmente da esse.
- Si blocca il tentativo di evitare il problema, dando uno spazio specifico e delimitato a tali emozioni in modo da imparare a gestirle e non viverle più come intrusive.
- Si permette al paziente di esternalizzare le emozioni ma al tempo stesso evitando di coinvolgere eccessivamentegli altri;
In questo modo si impedisce il diffondersi della sofferenza e si incrementa nel paziente la capacità di coping e il senso di autoefficacia.
L’uso della Narrazione crea talvolta Resistenza nei pazienti. Questo perché scrivere risulta essere molto doloroso ed è una richiesta opposta a ciò che fin’ora il paziente ha tentato di fare.
Ma sappiamo bene che:
“L’ unico modo per venir fuori dal dolore è passarci nel mezzo”
(Robert Frost)
e che
“Chi descrive il proprio dolore, anche se piange, è sul punto di consolarsi”
(Ugo Ojetti)
La relazione medico/paziente
Nella relazione medico/ paziente quindi la malattia è ciò che vive e racconta il paziente, non soltanto segni e sintomi. Ogni caso ha la sua storia: narrarla può essere terapeutico, ascoltarla significa passare dal curare al prendersi cura e non considerare più la patologia un semplice fatto biomedico.
I reclami all’ospedale riguardano quasi sempre la comunicazione tra paziente e medico
Oggi, se va bene, un colloquio in ambulatorio con il medico dura qualche minuto. Chi soffre, però, ha voglia di parlare, di avere una relazione vera con chi lo cura, di sentirsi chiamare per nome. Se non accade, il malessere diventa più grande e non a caso molti poi si sfogano sui blog nella rete. In uno studio sono stati analizzati 110 reclami presentati in ospedale e si è potuto riscontrare che lo scontento si riferiva quasi sempre alla mancanza di rapporto e di vera comunicazione con i medici. Nel 57% dei casi i problemi derivavano dalla mancanza di spiegazioni e dialogo, nel 48% si lamentava scarsa relazione con i medici, nel 36% discrepanza fra bisogni del paziente e percezione del curante.
La soluzione potrebbe essere la “cartella clinica integrata” proposta dalla medicina narrativa, nella quale far confluire le parole dei malati per accogliere l’esigenza di raccontarsi e non essere solo un numero, ma anche per migliorare la pratica clinica, «La vera cura passa dal coinvolgimento diretto e attivo del paziente. Metterlo al centro, ascoltandolo per sapere che cosa pensa e come si sente davvero, aiuta a creare percorsi di cura condivisi, ridurre le pratiche inutili, migliorare le terapie». La medicina narrativa consente diagnosi più approfondite, favorisce le relazioni fra paziente, famiglia e medici, ottimizza la qualità del servizio ma, soprattutto, ha un impatto sull’esito delle cure, perché i malati le seguono meglio e si riduce la loro sofferenza
E nella nostra esperienza?
Quando ci siamo davvero sentite ascoltate?
Cosa ci ha fatto sentire libere di esprimerci e chiedere?
A chi e in quali luoghi è utile raccontarsi?