C’è un modo “giusto” di affrontare la malattia oncologica?
Si potrebbe dire che esistono “tante malattie oncologiche” quante le persone che incontrano questa diagnosi nel corso della loro vita.
Le emozioni che si presentano possono essere molto intense e diverse fra loro, dopo incredulità, diniego e disorientamento, la persona si trova a dover fare i conti con questa nuova ed inaspettata fase e le risorse (personali e sociali) a cui può ricorrere.
Ognuno vive la sua quotidianità e le sfide che si possono presentare, in modo profondamente soggettivo, promuovendo di volta in volta un processo di adattamento.
Il momento di vita in cui la persona riceve la diagnosi, il tipo di diagnosi e la modalità attraverso cui è stata comunicata e ancora la sua storia di vita, la rete sociale a cui appoggiarsi,…sono alcuni dei fattori che influenzano e determinano, almeno in una fase iniziale, il modo in cui sarà affrontata questa realtà.
Affrontare la malattia implica anche vivere perdite a diversi livelli: quello che “prima” veniva percepito e vissuto come “normale”, con la malattia può assumere un peso e un significato diversi.
La comunicazione rappresenta uno degli eventi più stressanti che alcune persone si trovano a dover affrontare nel corso della loro vita, un cambiamento non solo su un piano fisico ma anche mentale: cambia il modo di percepire e sentire il proprio corpo, cambia la percezione che si ha del mondo, cambiano le relazioni sociali e interpersonali.
Nei racconti dei pazienti, spesso la malattia è valutata come uno spartiacque, che divide inesorabilmente quello che c’era prima (“prima facevo tutto, ero indipendente, ero il punto di riferimento per gli altri”) da quello che c’è ora (“ora non riesco più a fare niente, ho bisogno degli altri, sono un peso”).
Questo vissuto investe non solo la persona che riceve la diagnosi, il paziente, ma anche l’intero nucleo familiare di riferimento che dovrà, inevitabilmente, cercare una nuova forma di adattamento a questa situazione.
Come abbiamo accennato nell’articolo dello scorso mese, si parla di “coping” individuale ma anche familiare, a intendere, quindi, le modalità di reazione agli eventi stressanti che l’intero sistema mette in atto per adattarsi a questa inaspettata fase di vita.
Il “chiedere aiuto” è il primo punto da prendere in considerazione; in un articolo del 2012 della Fondazione Veronesi si sostiene: “Lo stress altera l’equilibrio fisico, la mancanza di sonno aggrava la situazione e la qualità di vita degenera rapidamente, sfociando spesso in un’apatia generalizzata. In Italia, come nel resto del mondo, le statistiche dimostrano che circa il 30 per cento dei pazienti oncologici ha difficoltà ad «adattarsi» alla malattia e, seppure in fasi diverse, sente il bisogno di un sostegno psicologico. Molti, però, lo reputano purtroppo ancora un tabù”.
Affidarsi alla rete, dei professionisti della salute sì, ma anche quella familiare, amicale, sociale (con le Associazioni del territorio), può essere il fattore che, oltre ad un’adeguata terapia medica, fa davvero la differenza.
Qual è stata la mia esperienza?
Ho vissuto la possibilità di chiedere aiuto?
Quali sono i fattori che mi hanno aiutato/a nell’affrontare i primi momenti?
(Come paziente o familiare)