Pronti, partenza,…BUONA ESTATE!!!

Partire per una nuova meta, girare il mondo, ma anche allontanarsi semplicemente da casa solo di qualche chilometro per trascorrere un fine settimana o qualche ora di relax e staccare dalla frenesia quotidiana è ciò di cui ognuno di noi ha bisogno.

Talvolta troviamo scusanti come non avere mai il tempo, la compagnia giusta o le ferie o talvolta, anche, abbiamo motivazioni reali che ci impediscono di prendersi un po’ di tempo. Ormai è opinione comune che sia consigliabile prendersi delle brevi pause ogni tre o quattro mesi, anziché un lungo periodo di stacco una sola volta all’anno, così da trarre il massimo beneficio delle ferie, perché i benefici della vacanza, a mano a mano che passa il tempo si affievoliscono. Inoltre, viaggiare, anche per brevissime distanze, è un ottimo antidoto contro tristezza e stanchezza.

Tuttavia, molto spesso, nonostante le ferie tanto attese, la maggior parte di noi non riesce a staccare del tutto, rimanendo in contatto con l’ufficio attraverso computer, tablet o cellulari. Dedicarsi del tempo lontano dal lavoro, dalla scuola, dallo stress di una vita molto impegnata è assolutamente cruciale per rivitalizzare la salute del nostro cervello, del nostro corpo e del nostro spirito.

La nostra mente pensa più chiaramente quando si ferma e si prende un po’ di tregua. Il nostro corpo ed il nostro cervello non sono costruiti per affrontare periodi di stress protratti nel tempo e necessitano di pause per ricaricarsi. Approfittare anche della sosta estiva per fare dell’attività fisica, dormire meglio e di più, trascorrere tempo con i propri amici divertendosi, sono tutte ottime strategie per ridurre lo stress.

“Stacchiamo la spina!”, questo diciamo quando abbiamo bisogno di prendere distanza dalle cose che ci assorbono. Piuttosto, però, dovremmo inserire la spina in una presa diversa, in cui potersi ricaricare per godersi il tempo di stacco dalla solita routine che assorbe e “scarica”. Decidere, quindi, a quali eventi si vuole esser presenti, senza doversi sentire obbligati a prendere parte a qualsiasi cosa venga proposta. Prendiamoci anche la libertà di dire dei no!

Siamo al giro di boa di tutti gli anni, dovremmo davvero imparare a concentrarci maggiormente su noi stessi e sul nostro benessere senza troppi sensi di colpa anche semplicemente passeggiando all’aria aperta con amici e parenti.

Claudia Bonari

La “Zoom Fatigue”

Le continue videocall possono risultare stancanti e/o invasive al punto che ricercatori hanno iniziato a parlare di Zoom Fatigue

Durante le videocall il nostro cervello si trova a dover integrare due informazioni contrastanti: sono solo in questa stanza eppure ho informazioni che Altri ci sono. Innaturale. Questo è uno dei fattori che contribuiscono alla cosiddetta Zoom Fatigue.

 

Negli ultimi tempi la tecnologia ci ha confortato di gran lunga permettendoci di mantenere un legame con chi non potevamo più abbracciare: la scuola, le riunioni, le cene con gli amici,…si sono trasferiti sui canali online. Ricercare e pubblicare nuovi post, fare o guardare video divertenti oppure aggiornarci e formarci attraverso webinar sono state le attività in cui siamo stati impegnati di gran lunga in questi mesi.
Il tempo che abbiamo passato connessi è aumentato esponenzialmente che sia stato per svago, per studio, per fuga o per lavoro! E forse, come non mai, ora siamo però vittime degli effetti collaterali di internet!

 

Numerose ricerche già da tempo parlavano degli effetti negativi dovuti ad un’attività prolungata di fronte a schermi che comportano un aumento significativo di percezione di infelicità, di solitudine, di depressione così come effetti calo dell’attenzione, della memoria, disturbi del sonno. Lo smartphone, ormai alla portata di tutti, è diventato il migliore amico, ciò da cui è impossibile separarsi o staccarsi per lungo tempo. E’ diventato un oggetto che condivide tutto con noi, sta al nostro fianco e, addirittura, gli affidiamo anche la nostra memoria!

 

E mai, come ora, i ricercatori parlano di “Zoom Fatigue”. Come anticipato prima il cervello si trova a dover integrare due informazioni contrastanti. Così com’è innaturale essere deprivati di tutta una serie di comunicazioni non verbali che in presenza avvengono in modo automatico e che ora possiamo solo provare a ricostruire (faticosamente). Con tutta la difficoltà che comporta cogliere le espressioni sottili del viso che, visto la qualità della connessione, spesso si bloccano, si quadrettano o si offuscano.

L’attenzione alle parole deve rimanere altissima e altissimo è il rischio di “perdere” l’altro o di essere interrotti.
Lo sguardo è continuo, sebbene disallineato (chi mai guarda solo l’obiettivo e non lo schermo?), perché guardare lo schermo sembra essere il modo con cui comunichiamo silenziosamente la nostra attenzione a chi sta parlando e il viso dell’altro appare a una distanza (reale) dai nostri occhi che mai terremo dal vivo (troppo vicini).

 

La nostra attenzione, poi, già messa a dura prova dall’attrazione del guardare gli scorci delle abitazioni di ogni partecipante, si trova spesso nella tentazione di osservare e controllare la nostra stessa immagine nel riquadro anziché rimanere in quel flusso comunicativo, nel ballo del dialogo sintonizzato.

 

Le emozioni sono più faticose da lasciar emergere.
Ecco, avessimo avuto bisogno di capire quanto la comunicazione tecnologicamemte mediata possa incidere sulla nostra mente e sul nostro corpo, ora non possiamo non notarlo.
Eppure siamo qui e l’alternativa è non poter comunicare (o lavorare) o farlo a distanza con la mascherina. Niente di così attraente.

Per non soffrire di questa alterazione di piano comunicativo, visto che nel nostro DNA è inciso i nostro bisogno di contatto, oggi che è possibile uscire, riduciamo al minimo gli incontri virtuali per riscoprire la bellezza della vicinanza (con rispetto delle distanze) e di uno sguardo senza schermi!

Claudia Bonari

“L’essenziale è invisibile agli occhi”

scriveva Antoine de Saint-Exupéry. È invisibile, ma c’è.

Ed è essenziale, non possiamo farne a meno.

L’isolamento dovuto al Coronavirus ed il distanziamento che ancora caratterizza le nostre relazioni sociali, ci hanno offerto una prova tangibile di quanto queste siano cruciali per il nostro esistere. Per la vita quotidiana ordinaria e per le scelte straordinarie. Quando le relazioni interpersonali vengono meno ne avvertiamo profondamente la mancanza e siamo disorientati, spaesati. In particolare, tra le relazioni sociali, i legami affidabili e cooperativi manifestano la loro solidità e la loro capacità di tenuta anche di fronte al cambiamento repentino delle nostre giornate. Rappresentano un supporto determinante per vivere e, se possibile, per vivere al meglio.

 

La situazione complicata che ciascuno ha vissuto e per cui è stato messo alla prova, sia individualmente sia come membro di varie comunità, può farci riflettere sulla “forza” dei legami sociali. Anche quelli apparentemente “deboli” e non visti. Ma proprio queste relazioni ci consentono – se agite – di dare il meglio di noi, di trovare risorse, talvolta inaspettate. Di fronteggiare le situazioni di criticità, di superare le difficoltà anche attraverso scelte inedite, di riscoprirci più prossimi agli altri.

 

Abbiamo imparato a sentirci più vicini attraverso uno schermo, un telefono ad accorciare le distanze non potendo avere un contatto diretto. Ma l’impulso a stringere legami con gli altri per il piacere di stare con loro è sempre presente e un segno del nostro essere più profondo.

 

Abbiamo bisogno di relazioni di qualità ovvero quelle relazioni i cui effetti sono positivi per noi. Così come abbiamo bisogno di nutrienti, ossigeno e riposo per l’organismo, così abbiamo bisogno di relazioni per soddisfare un bisogno fondamentale per ognuno di noi.

Claudia Bonari

Progettare e…RIPARTIRE!

Questo periodo di incertezze può mettere a dura prova il nostro benessere emotivo. Tuttavia possiamo approfittare di queste circostanze per riflettere su ciò che vorremmo cambiare nella nostra vita e per programmare il modo in cui vorremmo prenderla in mano quando l’emergenza finirà.

Ma in che modo possiamo non lasciarci avvolgere dalla paura del cambiamento e trovare le risorse per rinascere?

Che cosa resterà nella nostra mente di questo periodo che stiamo vivendo?

Quali saranno gli “anticorpi” che aiuteranno a difenderci dalla paura, dall’ansia e da quei pensieri che per un po’ di tempo nonostante la fine delle restrizioni dell’emergenza, potranno far capolino?

Potremmo scoprire di aver sviluppato una resilienza di cui saremmo noi stupiti per primi.
All’inizio di questa emergenza abbiamo fatto i conti con la nostra fragilità, con l’impotenza di fronte ad un qualcosa di molto più grande di noi e di poco controllabile. Dapprima quello che era considerato “altro” o “altrove” si è rivelato più vicino di quello che si poteva pensare.

Il senso del limite ha dato un nuovo significato agli spazi, al tempo, alla vicinanza con le altre persone.
Il bisogno di pensare a futuro, di immaginarsi la “luce in fondo al tunnel” è una risorsa che, in momenti come questi, può dare quella sensazione di libertà negata sul piano pratico.
In questo periodo, abbiamo necessariamente fatto un allenamento di pazienza e umiltà. Abbiamo però anche messo alla prova la nostra capacità di resistere ed adattarci alle situazioni avverse.
Si sono potuti riscoprire valori come la solidarietà: relazioni dimenticate o sottovalutate sono state riscoperte. L’individualismo ha avuto un valido antagonista nel senso di comunità che si è fatto più forte, più concreto, più sentito.

Se, da un lato, il Coronavirus ha aumentato le distanze, dall’altro ci ha avvicinati, resi più disponibili alla reciprocità, alla condivisione.

Claudia Bonari

La salute…ai tempi del Coronavirus

Stiamo vivendo un periodo che altera le nostre sicurezze più profonde, quelle che normalmente diamo per scontate e di cui non ci accorgiamo.

Ci viene richiesto di portare avanti un cambiamento radicale rispetto al ritmo che la società chiede di mantenere: dal “dover” fare più cose per esser riconosciuti, al doverle necessariamente ridurre, restando a casa. Questo passaggio porta con sé conseguenze impattanti sul piano psicologico con emozioni intense, come la paura.

La paura che inevitabilmente colora le nostre vite in questo periodo può anche esser funzionale perché ci porta ad adottare comportamenti di protezione (es. lavarsi le mani più spesso e secondo la procedura adeguata, indossare le mascherine,…) che risultano più che mai efficaci e importanti in momenti come questo. Un’attenzione più marcata, ovviamente, devono porla coloro che hanno già una maggiore difficoltà a gestire l’ansia che può diventare disfunzionale in situazioni come queste.

Inoltre, si devono considerare anche tutti quei potenziali stressor che riguardano la paura di esser contagiati e/o di contagiare, la noia, il senso di impotenza, la preoccupazione per la salute dei propri cari e la lontananza da questi.

L’incertezza dovuta alle misure di isolamento, alla loro durata e portata, genera insicurezza e ansia alle quali ogni persona risponde in maniera diversa in relazione alle proprie risorse. L’isolamento, poi, può rendere ancora più vulnerabili le categorie di persone già di per sé fragili e ancora più esposte a stati depressivi e ansiosi.

Emozioni come rabbia e paura possono non essere accettate anche perché difficili da veicolare visto che, in tempo di Coronavirus, non c’è un “nemico” visibile con cui prendersela e non possiamo nemmeno utilizzare lo sport, ad esempio, come valvola di scarico. La limitazione della libertà rappresenta ciò che più può causare sofferenza e sensazione di spaesamento. E’ importante, quindi, crearsi occasioni che diano la sensazione di avere il controllo sulle cose: darsi obiettivi durante la giornata per renderla il più “normale” possibile. Così come è importante non fare “scorpacciate” di informazioni sull’emergenza che poi porta a indigestioni e rimuginazioni, è consigliabile piuttosto autolimitarsi nell’accesso alle notizie ed affidarsi a fonti ufficiali. E’ importante, poi, per la salute psicologica, creare il proprio ritmo, stabilire abitudini che possano essere una possibilità di svago: non possiamo lasciare, per quello che è possibile, le giornate al caso.

Claudia Bonari

IO… CI PROTEGGO!

Gli esseri umani, pur sforzandosi di utilizzare la logica nell’analizzare tutte le cose, spesso si dimenticano che, in realtà, sono le emozioni che hanno un ruolo ancora più fondamentale e basico.

Il problema del Coronavirus, oggettivo, diventa una questione soggettiva in relazione al vissuto psicologico, alle emozioni e paure. La “percezione del rischio” può essere distorta e amplificata sino a portare a condizioni di panico che aumentano il rischio perché possano portare a comportamenti poco razionali.

La paura, di per sé, è un’emozione utile, mantenuta dall’evoluzione per prevenire e proteggere dai pericoli e poterli quindi evitare. E’ funzionale se proporzionata al pericolo ed invece quando non lo è provoca disagio: non siamo fatti per reggere a lungo situazioni di ansia e di stress. Le risposte più funzionali selezionate dall’evoluzione sono quella di attacco o di fuga ma hanno una valenza positiva sul breve periodo. Se mantenute, portano a una disregolazione emotiva, alla percezione di impotenza ed anche ad un abbassamento delle difese immunitarie dovute al permanere di una condizione di stress.

Quello che sta accadendo nel mondo e la modalità con cui alcune fonti riportano gli aggiornamenti sul COVID-19, può incrementare angoscia e la percezione di essere sommersi da un flusso ininterrotto di “allarmi ansiogeni”. E’ importante, pertanto, rivolgersi a fonti affidabili per informazioni di base sufficienti ad adottare comportamenti adeguati.

Un atteggiamento psicologico valido può aiutare non solo chi lo attua ma anche gli altri, innescando un circuito virtuoso, e aumentando il “quoziente di resilienza” dei singoli, della famiglia, della comunità.

Claudia Bonari

Trova il tuo ritmo!

La musica è riconosciuta da tutti come una fonte di benessere e piacevolezza, considerata un’arte fin dall’antichità, si tratta di un codice, un linguaggio universale, presente in tutte le culture della storia dell’umanità.

Numerose ricerche confermano che il feto risponde a stimoli sonori e rumori sin dal sesto mese di gravidanza e che l’influenza dell’esperienza musicale prenatale continua anche dopo la nascita. È proprio la voce materna l’elemento di continuità con l’esperienza musicale precedente, è una sorta di ponte tra il mondo intrauterino” e la vita extrauterina. Il canto materno svolge un’influenza significativa e ampia interessando l’ambito relazionale, emotivo, attentivo e cognitivo.

L’esperienza musicale, quindi rappresenta, una delle prime esperienze in cui si è immersi sin dai primissimi momenti della vita e che ha un profondo valore relazionale, di stimolo, di crescita e conforto. La musica produce effetti sul nostro corpo, origina un’esperienza emozionale, coinvolge la mente, risuona in tutto il corpo.

A cominciare dagli anni Venti sono state effettuate ricerche e studi riguardanti l’effetto della musica sul Sistema Nervoso Autonomo (SNA) da cui dipende la funzionalità e l’attività di molti organi e apparati, tra cui la frequenza cardiaca, respiratoria, la sudorazione, l’attività gastrica, la tensione muscolare e l’attività endocrina. I risultati concordano che la musica influenza processi corporei come: accelerare o rallentare il metabolismo e la frequenza respiratoria, abbassare la pressione sanguigna, ridurre o ritardare la fatica fisica e lo stress.

Le origini dell’uso terapeutico del suono e della musica risalgono agli albori dell’umanità. Già Platone sosteneva che “la musica era per l’anima ciò che la ginnastica era per il corpo”.

La musica come terapia viene impiegata in molti campi della salute, dopo un’attenta formazione da parte del terapeuta che la utilizza nella sua pratica clinica. “La musicoterapia è l’uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la motricità, l’espressione, l’organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive. Mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell’individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l’integrazione intra- e inter-personale e di conseguenza migliorare la qualità della vita grazie a un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico”. La musica è il mezzo che viene utilizzato in questa terapia. Essa è fonte di espressione, di condivisione, di sostegno e contenimento delle emozioni, dei pensieri che non sempre vengono espressi verbalmente.

Nelle condizioni di sofferenza, di fragilità si può esser portati a chiudersi in se stessi, rifiutando la condivisione dei propri sentimenti e delle proprie emozioni con gli altri. Ma il suono a seconda della tonalità e della frequenza influenza il cervello e le risposte dell’organismo. E può arrivare a favorire l’espressione di quello che viene celato e trattenuto a livello verbale.

La musica ha anche una funzione autoregolatoria delle proprie emozioni e può essere utilizzata per cambiare, mantenere o rinforzare emozioni e stadi d’animo o per rilassarsi.

Trovare la propria strategia nell’ascoltare la musica rappresenta un’opportunità di benessere che ognuno di noi può concedersi in ogni luogo e ad ogni età!

Claudia Bonari

ANNO NUOVO…

Alcune persone vivono l’attesa e l’arrivo delle festività come un periodo di spensieratezza, mentre per altre è fonte di preoccupazione e di sentimenti spiacevoli. 

Quando sono vissute come un periodo felice e di riposo per stare con gli affetti, portano anche con sé la sensazione di trascorrere troppo velocemente. Dunque poi, ci riaffacciamo alla quotidianità con la routine e la sensazione di essere già stanchi o addirittura depressi.

Il rientro alla normalità può significare anche spavento per gli impegni che attendano nel nuovo anno e che, magari, sono stati rimandati fino a quel momento. 

Che cosa può aiutare, allora, a ricominciare con piglio giusto? Una possibilità è il pensare che una fine apre ad un nuovo inizio! L’avvicinarsi della primavera, le giornate che si allungano, la vita che si dischiude nella Natura. Per quanto poi possa spaventare, la quotidianità rappresenta, però, anche una possibilità di ritrovare i propri ritmi biologici che, durante le festività, si possono essere alterati. 

Per trovare un’alternativa alla tristezza, ci si può dare una spinta cercando nuovi obiettivi e facendo cose piacevoli. Obiettivi raggiungibili, piccoli, in modo che, una volta conquistati, l’umore possa beneficiarne. Concentrarsi sul presente e coltivare la speranza rappresenta un’opportunità per dare un’alternativa alla tristezza che dopo le feste può aleggiare nella nostra vita. 

L’inizio di un nuovo anno può essere un buon momento per provare a dare un “taglio nuovo” alla propria vita e cercare di capire cos’è che preoccupa così tanto. 

Per molte persone, il rientro alla vita di tutti i giorni dopo le vacanze rappresenta una vera boccata d’aria fresca. Per altri può essere una fonte di tristezza per il periodo di feste che si è chiuso, di calore, luci colorate, clima di festa,…

Un buon obiettivo potrebbe essere, quindi, quello di provare ad essere ogni giorno sereni, cercando di goderci al meglio le nostre relazioni, i nostri spazi. Provando ad esser felici prima ancora che sfiduciati.

Feste, bilanci ed…emozioni da vivere

I giorni di festa sono tanti e chi si trova a vivere con una malattia, spesso, non ha alcuna voglia di festeggiare. E’ possibile trovare un modo per lasciarsi alle spalle dolore, tristezza e paura almeno durante questo periodo?

Il Natale e le feste, in genere, amplificano i sentimenti e gli stati d’animo. Sono giorni che portano a concentrarsi sulla propria sfera privata oltreché a passare più tempo con le persone che si hanno vicine. Inoltre è un momento che suscita ricordi di tempi passati e spesso apre ad un bilancio esistenziale che può favorire vissuti di angoscia e malinconia. “Festeggiare” può significare uno sforzo enorme per chi, invece, vorrebbe far tutt’altro.

Ci sono diverse modalità di reagire ad una diagnosi di tumore ed ognuna è estremamente personale. Ciò che conta e che, in prospettiva, fa la differenza, è se la persona ha intorno persone di supporto o se è sola oltreché se è possibile un piano di autonomia oppure le cure e la malattia hanno effetti debilitanti.

Alcune delle persone che hanno ricevuto una diagnosi di tumore e che hanno una buona prognosi, possono sentire in maniera ancora più evidente il bisogno di esaltare il proprio desiderio di vita e promuovere una revisione dei propri valori e delle priorità. La famiglia, gli affetti e le relazioni possono essere così godute in maniera ancora più piena proprio in concomitanza delle festività e riproporre le “vecchie” abitudini e le tradizioni non può che aiutare a mantenere il senso di continuità della propria vita.

Viceversa, per chi non ha una buona prognosi, il pensiero di potersi, un giorno, dover separare dai propri cari può tingere di tristezza e malinconia questi giorni: parlarne con i propri cari e condividere questi vissuti apre, ancora di più, aspetti di intimità. Organizzare le feste secondo le esigenze ed i tempi della persona malata è un’accortezza necessaria per farla sentire coinvolta e contrastare quel senso di solitudine che può caratterizzare queste fasi di vita.

Una persona malata può provare anche un senso di colpa. Pensa di star rovinando le feste alle persone care dal momento che possono esserci cambiamenti di abitudini nell’organizzazione familiare e delle tradizioni consolidate nel tempo.

La malattia fa parte della vita, così come le perdite e le sofferenze e nella ricerca di senso e significato che caratterizza l’esperienza umana, può essere utile e necessario valorizzare l’identità della persona malata nonostante i cambiamenti imposti dalla malattia.

Non esiste un modo giusto per esser d’aiuto ad un malato: ogni persona ha la sua storia e la sua modalità di reagire alle difficoltà. Un aspetto fondamentale e trasversale a tutte le esperienze è quello di lasciar aperto un piano di comunicazione.

E’ importante anche porre uno sguardo al vissuto dei familiari che, spesso, devono fronteggiare il proprio stato d’animo per non gravare su quello del paziente. Far rete aiuta a sostenersi a vicenda e fare in modo che il proprio stress non influenzi il vissuto del paziente.

 

Claudia Bonari

CIAK: CI SI OSSERVA!

“Film come sogni, film come musica…
Nessun’arte passa la nostra coscienza come il cinema,
che va diretto alle nostre sensazioni, fino nel profondo,
nelle stanze scure della nostra anima…”
(Ingmar Bergman)

Un momento di pausa, di stacco…un’opportunità di riflessione utilizzando le storie interpretate da altre persone: la Cinematerapia rappresenta uno strumento per coloro che vogliono realizzare un percorso evolutivo e di crescita personale.
La Cinematerapia è un approccio che si inserisce nel filone dell’arte terapia che può contare su un peculiare punto di forza: la complessità dell’arte cinematografica, composta da suoni, immagini e parole che sono in grado di sollecitare nel profondo toccando corde che vanno oltre la sola consapevolezza.
L’Associazione Voglia di Vivere, sotto l’attento coordinamento della dr.ssa Beatrice De Biasi, psicologa psicoterapeuta, propone un percorso di Cinematerapia aperto a tutti.
La Cinematerapia si avvale dell’effetto evocativo e simbolico delle immagini che, suscitando emozioni “grezze”, spesso disorganizzate, spontanee e improvvise, vengono poi elaborate per stimolare processi di cambiamento, di aiuto e sostegno.
L’acquisizione di nuove competenze viene promossa a partire dalla stimolazione dell’area cognitiva in cui si migliorano le competenze come lo schema corporeo, l’apprendimento di concetti e l’uso di simboli e l’area emotiva in cui si incrementa la capacità di manifestare proattivamente i vissuti emotivi, sostenendo il superamento di paure e migliorando il livello di autostima.
Si promuove, quindi, un percorso di autoconoscenza, di consapevolezza e di trasformazione interiore che permette di prendersi cura di sé e di tenere una finestra aperta sui propri processi interni.
Rispecchiare la propria esperienza in quella dei protagonisti della pellicola oppure allontanarsene, permette il poter elaborare in maniera profonda i propri vissuti e la propria esperienza di vita, promuovendo momenti di insight.
Vedere una pellicola, può generare intense sensazioni che hanno ripercussioni a livello biochimico, la narrazione del film rappresenta un’opportunità per conoscersi meglio: parlare non in prima persona di sé ma farlo attraverso ciò che viene rappresentato, permette anche a coloro che fanno più fatica ad aprirsi e condividere le proprie emozioni ed i propri sentimenti. La trama, i dialoghi, le immagini, i colori, gli effetti speciali e la musica contribuiscono a suscitare reazioni in chi osserva.
L’esperto che indirizza la visione di specifici film, offre una chiave di lettura per far lavorare lo spettatore sulla conoscenza di sé e la consapevolezza. Il confronto che ne segue si caratterizza per una riflessione interiore su cosa il filmato ha evocato e suscitato ed una condivisa attraverso lo scambio con gli altri membri del gruppo.
L’utilizzo dei film è uno strumento di crescita e riflessione estremamente potente.