Il profumo e il gusto un po’ acidulo delle mele selvatiche non ha eguali e dà a questa preparazione un tocco unico che richiama ricordi ancestrali, quelli che probabilmente ognuno di noi mantiene in un angolo della propria memoria pronti ad essere rievocati. Inoltre questa confettura è molto adatta nella sua semplicità in quanto non crea problemi dal punto di vista della consistenza, tallone di Achille delle confetture in genere, quelle che non contengono additivi ovviamente.
Chiunque chiedeva il segreto a mia mamma Giuseppina per avere una marmellata dalla giusta solidità senza farla cuocere esageratamente in modo da conservare intatte le caratteristiche organolettiche, a cominciare dal colore brillante che invece sovente sfocia in una sorta di caramello.
Nessuno voleva credere che non aggiungesse pectina (che di per sé non è niente di artificiale derivando appunto dalle mele) e nessuno pareva riuscire a raggiungere i suoi risultati di consistenza e di colore.
A suo dire il segreto era semplicemente quello di utilizzare la pentola adatta, che non avesse un fondo troppo spesso, cosa che però richiedeva l’impegno di un costante rimescolamento.
In realtà, col tempo e con le prove, mi sono resa conto che la parte migliore la faceva il materiale di cui erano costituite le pentole dell’epoca in cui si era sposata, cioè l’alluminio, ma per lei questa era una cosa naturale, perché quelle c’erano nella sua cucina….
Lei preparava confetture e sciroppi dai classici frutti del sottobosco: mirtilli, lamponi e more e negli ultimi tempi anche e fragole che mio padre si dilettava a coltivare. Ma non solo da lei ho ereditato questa tradizione, prima di lei mia nonna confezionava marmellate anche con la rosa canina, i pomodori acerbi che all’Abetone difficilmente riuscivano a maturare, e lo sciroppo di sambuco dalle decantate proprietà medicinali.
Io mi diletto a spaziare quanto più possibile con tutto quello che i boschi di montagna (ma a volte non solo quelli) ci regalano.
Da questa passione scaturiscono, appunto, la confettura di mele e noci, quella di castagne e ruhm (non vi dico la pazienza per estrarre la polpa ad una ad una dalle piccole castagne di montagna), quella di ciliegie che chiaramente vanno snocciolate ad una ad una, lo sciroppo di ribes, quello di melagrana, di amarene e persino di menta con una tecnica particolare, e qualche liquore come ad esempio quello fatto con il prugnolo selvatico.
Da tempo, poi, mi gira in testa l’idea di utilizzare in qualche modo un’altra risorsa a mio parere inspiegabilmente sottovalutata: la faggiòla, cioè i semi del faggio, per il momento mi sto limitando ad aggiungerla all’impasto del pane fatto in casa.
Insomma, un impegno per tutte le stagioni, tanta pazienza e tanto amore per le tradizioni sono le caratteristiche richieste, senza mai dimenticare la riconoscenza e la gratitudine verso la natura che ci fornisce la materia prima, perché quella ci viene data in dono.
La ricetta (da “I doni del bosco”)
INGREDIENTI
- 500 gr. di piccole mele selvatiche
- 150 gr. di gherigli di noci di montagna
- 350 gr. di zucchero semolato o di zucchero di canna (secondo preferenza)
- Poca acqua
PROCEDIMENTO
Per prima cosa preparare i vasetti e i coperchi nuovi necessari sterilizzandoli in acqua bollente oppure con altri metodi a piacimento (forno, lavastoviglie ecc..). Lasciarli sgocciolare capovolti su un canovaccio pulito.
Sciacquare le mele, dividerle in quarti e togliere i semi.
Non occorre sbucciare le mele selvatiche dato che non sono trattate, cercare piuttosto di velocizzare la preparazione per evitare che i pezzi di mela scuriscano.
Prediligere piccole mele, ma se proprio non le trovate allora tagliatele in pezzi più piccoli.
Ponetele in una pentola sul fuoco, aggiungendo poca acqua, solo quella che basta per farle ammorbidire senza farle attaccare al fondo e, per lo stesso motivo, mescolare costantemente.
Quando le mele saranno morbide, dopo circa 10 minuti, ridurle in purea con il passaverdura o con il mixer.
Aggiungere lo zucchero e, quando è sciolto, aggiungere i gherigli di noce.
Far cuocere a fuoco lento per 5-10 minuti.
Invasettare subito e chiudere con il coperchio, dopodiché procedere con la pastorizzazione inserendo i vasi in una pentola abbastanza alta in modo che i vasetti restino coperti dall’acqua per almeno 4-5 cm. Portare ad ebollizione e fare bollire lentamente per 20 minuti, dopodiché spegnere il fornello ma lasciare i vasetti nella pentola fino a quando l’acqua sarà raffreddata. La confettura si conserva anche per un anno se mantenuta in un ambiente fresco e buio o perlomeno scarsamente illuminato. La confettura, una volta aperto il vasetto, si conserva in frigorifero per una decina di giorni.